Lettera aperta sul decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36

Profili di criticità giuridica, costituzionale, internazionale e socio-economica


1. Profili di criticità

La giurisprudenza della Corte di Cassazione, anche a Sezioni Unite (SS.UU. n. 4466/2009; n. 8924/2009), ha costantemente affermato che la cittadinanza italiana iure sanguinis si acquisisce a titolo originario fin dalla nascita e che il relativo procedimento ha natura dichiarativa, non costitutiva. Il decreto-legge n. 36/2025, al contrario, stabilisce che chi è nato all’estero e possiede altra cittadinanza non è mai stato cittadino italiano, salvo eccezioni: ciò comporta una negazione postuma dello status civitatis a soggetti già nati da cittadini italiani.

Tale misura produce effetti sostanzialmente retroattivi, andando a colpire diritti soggettivi perfettamente maturati secondo la normativa vigente al momento della nascita. Si configura una forma di denazionalizzazione collettiva, in contrasto con l’art. 15 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (“nessuno può essere arbitrariamente privato della propria cittadinanza”), oltre che con i principi di irretroattività (art. 11 disp. prel. c.c.), uguaglianza (art. 3 Cost.) e affidamento legittimo (art. 97 Cost.).

La Corte costituzionale ha ribadito (sent. n. 4/2024) che le leggi retroattive su diritti fondamentali richiedono uno scrutinio di stretta proporzionalità, soprattutto se incidono su posizioni consolidate e aspettative legittime. Analogamente, la Corte EDU ha condannato simili approcci normativi nei casi Stran e Andreadis c. Grecia (1994) e Genovese c. Malta (2011), affermando che la cittadinanza rientra nella sfera della vita privata (art. 8 CEDU) e non può essere regolata in modo arbitrario o irragionevole.

Particolarmente grave è l’omissione di una clausola transitoria, che ha colpito migliaia di persone che, da anni, attendevano nei consolati o avevano già predisposto tutta la documentazione, confidando legittimamente nel quadro normativo previgente. L’esclusione improvvisa e generalizzata di tali soggetti compromette la continuità giuridica tra generazioni, in violazione anche dell’unità familiare (artt. 29 e 30 Cost.).


2. Profilo di compatibilità sovranazionale e rischio di censura europea

Il decreto-legge solleva profili di incompatibilità con i trattati internazionali e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). L’art. 8 CEDU tutela il diritto all’identità personale, che include la cittadinanza in quanto strumento di appartenenza giuridica e culturale. La Corte di Strasburgo ha sottolineato (Genovese c. Malta, 2011) che l’arbitrarietà nella gestione dello status civitatis può comportare una violazione del diritto al rispetto della vita privata.

L’introduzione, inoltre, della presunzione di non cittadinanza e l’onere imposto al cittadino di provare un fatto negativo (cioè l’inesistenza di cause ostative o di perdita della cittadinanza nella propria linea di discendenza) rappresentano una violazione del diritto al giusto processo (art. 6 CEDU) e del principio di accesso effettivo alla giustizia. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza Hecta Viticol, ha ribadito l’esigenza di norme prevedibili, accessibili e non arbitrarie: il decreto in esame non rispetta questi standard.


3. Esclusione della via amministrativa e impatto sulla giustizia ordinaria

Il nuovo assetto normativo irrigidisce l’accesso alla cittadinanza, limitando drasticamente la via amministrativa e demandando quasi esclusivamente al ricorso giurisdizionale la possibilità di far valere diritti discendenti. Ciò comporterà un ulteriore aggravio del contenzioso giudiziario, già notevolmente aumentato negli ultimi anni proprio a causa dell’inefficienza dei consolati e della piattaforma “Prenot@Mi”.

Tale scelta appare antieconomica e disfunzionale per l’interesse pubblico, oltre che discriminatoria nei confronti di chi non dispone delle risorse per affrontare una causa civile pluriennale in Italia. L’effetto pratico sarà l’esclusione di migliaia di aventi diritto per cause puramente procedurali e reddituali.


4. Ripercussioni economiche e diplomatiche

Il provvedimento indebolisce profondamente il legame tra l’Italia e le sue comunità all’estero, soprattutto in America Latina, dove vivono milioni di discendenti di cittadini italiani. Queste persone rappresentano una risorsa strategica per l’Italia in termini di:

  • investimenti produttivi e immobiliari;
  • promozione culturale e turistica;
  • capitali umani e professionali.

La chiusura indiscriminata al riconoscimento della cittadinanza danneggia anche l’immagine internazionale dell’Italia e rischia di provocare reazioni diplomatiche in Paesi con forte presenza di italo-discendenti (Brasile, Argentina, Uruguay).


5. Contraddizione con le politiche italiane di internazionalizzazione

Mentre il Ministero degli Esteri, le Regioni e le Camere di Commercio promuovono programmi di internazionalizzazione, turismo di ritorno, valorizzazione della lingua italiana e investimenti dall’estero, questo decreto opera in senso opposto, spezzando i legami con milioni di potenziali cittadini.

Nel contesto comparato, altri ordinamenti hanno seguito una direzione opposta:

  • la Spagna con la “Ley de Memoria Democrática” (2022) ha ampliato l’accesso alla cittadinanza fino alla terza generazione;
  • la Romania riconosce fino alla quarta generazione;
  • la Polonia e l’Ungheria hanno semplificato il riconoscimento per motivi culturali o etnici.

Il modello italiano, invece, si sta trasformando in un sistema di chiusura burocratica, non più fondato su criteri di identità e cultura, ma su ostacoli procedurali.


6. Suggerimenti per una riforma più equa

Una riforma equa, coerente con la Costituzione e gli impegni internazionali, dovrebbe prevedere:

  • l’esclusione degli effetti retroattivi, introducendo una finestra temporale di almeno 5 anni per i nati prima dell’entrata in vigore;
  • la salvaguardia dei soggetti che avevano già manifestato interesse con prenotazione consolare o domanda documentata;
  • l’eliminazione dell’onere di prova negativa, restituendo coerenza al principio dell’art. 2697 c.c.;
  • l’introduzione di criteri selettivi e inclusivi, quali:
    • la conoscenza della lingua italiana (certificata almeno a livello B1 del QCER);
    • la residenza legale e continuativa in Italia per almeno due anni, anche a fini di studio o lavoro.

Infine, si segnala come una politica più aperta verso gli italo-discendenti possa contribuire a contrastare lo spopolamento, l’invecchiamento e l’emigrazione giovanile. L’Italia, oggi più che mai, ha bisogno di nuove generazioni qualificate e radicate nel tessuto culturale nazionale. Aprire le porte a chi è già “italiano per discendenza e per cultura” rappresenta una scelta di futuro e di giustizia.

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