LA FUNZIONE E LA SINDACABILITÀ DEL PIANO ECONOMICO FINANZIARIO (PEF): NON È CONSENTITA LA SUA MODIFICA RADICALE.
Il Piano economico finanziario (PEF) rappresenta una valutazione tecnica dell’operatore economico che non può essere approvata dalla stazione appaltante soltanto in presenza di evidenti difetti. In particolare, nel caso in cui lo stesso PEF sia palesemente irragionevole o viziato da manifesta erroneità.
Sul punto si rammenta che il Consiglio di Stato, sez. V, 17.07.2024 n. 6422, ha rilevato che la funzione del predetto PEF consiste nel dimostrare la concreta capacità del concorrente di eseguire una determinata azione. Nello specifico, compiere correttamente la prestazione per l’intero arco temporale prescelto attraverso le seguenti attività: la responsabile prospettazione di un equilibrio economico-finanziario di investimenti, la connessa gestione ed il rendimento per l’intero periodo. Tutto questo permette all’amministrazione concedente di valutare l’adeguatezza dell’offerta e l’effettiva realizzabilità dell’oggetto della medesima concessione.
In pratica il documento in esame giustifica la sostenibilità dell’offerta e non si sostituisce alla stessa, ma ne rappresenta un supporto per la valutazione di congruità, per provare che l’impresa è in condizione di trarre utili tali da consentire la gestione proficua dell’attività. Quindi il PEF non può essere tenuto separato dall’offerta in senso stretto, rappresentando un elemento significativo della proposta contrattuale. Di conseguenza il documento in esame dà modo all’amministrazione, che ha invitato il soggetto privato a presentare il progetto, di apprezzare la congruenza, e dunque l’affidabilità, della sintesi finanziaria contenuta nella proposta in senso stretto.
A tal proposito si cita T.A.R. Lombardia, Milano IV Sez., 21 marzo 2025, n. 991 che è intervenuto recentemente su un caso in cui l’operatore economico abbia compiuto modifiche sostanziali allo stesso PEF.
Nel caso di specie un offerente ha ricorso contro l’esclusione disposta dalla suddetta SA, la quale ha ritenuto che il partecipante alla selezione medesimo, in sede di verifica della sostenibilità della proposta, avesse prodotto di fatto un nuovo P.E.F.. In tal modo si sono verificati evidenti e sostanziali elementi di novità rispetto al documento allegato nella gara, rendendo così ambigua la formulazione dell’offerta e violando la par condicio tra gli operatori economici che hanno presenziato alla procedura.
Il Collegio lombardo, nel respingere il ricorso, ha evidenziato che le modifiche al suddetto P.E.F., ammissibili in sede di accertamento di congruità, devono essere di entità del tutto limitata. Le stesse, inoltre, non devono incidere sull’impostazione del documento e sui suoi contenuti, i quali, come già detto, riflettono sul piano finanziario la sostanza dell’offerta e la sua effettiva sostenibilità in sede esecutiva.
I giudici milanesi hanno anche sostenuto che le variazioni in argomento devono essere motivate sulla base di esigenze oggettive, estranee alle scelte di merito nella formulazione della proposta tecnica. Inoltre tali variazioni non possono essere cambiate a posteriori per “correggere” i contenuti di un’offerta originaria, in realtà priva dei canoni di serietà e affidabilità. Tutto questo a danno dell’interesse della stazione appaltante, finalizzato all’individuazione di un contraente che nel tempo possa garantire la corretta esecuzione delle prestazioni promesse dall’aggiudicatario.
Sul punto il Collegio ha precisato che la riallocazione delle voci di costo, in sede di verifica di anomalia, deve avere un fondamento economico serio, atteso che, diversamente, si perverrebbe all’inaccettabile conseguenza di consentire un’elusiva trasformazione a posteriori dell’offerta. In tal modo, pertanto, verrebbe snaturata la funzione propria del subprocedimento di verifica dell’anomalia, che è di apprezzamento globale dell’attendibilità dell’offerta.[1]
In conclusione il tribunale amministrativo regionale ha ricordato che, nel caso di specie, i mutamenti apportati al più volte richiamato P.E.F., a seguito delle richieste di chiarimenti formulate dalla stazione appaltante, hanno inciso su molteplici aspetti.
Tali interventi -proseguono i giudici- hanno generato una sostanziale alterazione del documento presentato in gara, che è stato in sostanza “riformulato” e non sempre con risultati considerati attendibili in sede di controllo.
Avv. Giuseppe Pinelli.
Avv. Marco Natoli.
[1] Cfr. Cons. di Stato, Sez. VI, 15.01.2021, n.487.