La Legge 91/1992 sulla cittadinanza italiana: spunti per una riforma equilibrata e strategica

La Legge 5 febbraio 1992, n. 91, che disciplina l’acquisizione, la perdita e il riacquisto della cittadinanza italiana, è ormai oggetto di un dibattito sempre più acceso sulla necessità di una sua riforma. Pur essendo nata con l’intento di adeguare il quadro normativo ai mutamenti sociali e migratori rispetto alla precedente disciplina del 1912, essa presenta oggi diverse criticità che impongono una revisione mirata, capace di bilanciare i diritti acquisiti con le esigenze di maggiore rigore nelle procedure di riconoscimento e di valorizzazione delle comunità italiane all’estero.

1. La necessità di una riforma attuale ma rispettosa dei diritti acquisiti

La legge 91/1992 si fonda principalmente sul principio dello ius sanguinis, attribuendo la cittadinanza ai discendenti di cittadini italiani senza limiti di generazione, purché non vi sia stata interruzione nella trasmissione del diritto. Questo modello ha garantito il legame tra l’Italia e le sue comunità all’estero, specialmente nei paesi con forte emigrazione storica come Argentina, Brasile e Stati Uniti.

Tuttavia, il contesto globale è profondamente mutato. L’Italia affronta oggi un grave calo demografico e una crescente necessità di manodopera qualificata e non qualificata in vari settori. Al tempo stesso, le modalità di acquisizione della cittadinanza devono essere modernizzate per evitare distorsioni e garantire un effettivo collegamento tra il richiedente e il nostro Paese. La riforma non dovrebbe ledere i diritti acquisiti, ma piuttosto migliorare il sistema attuale con criteri più razionali, per esempio introducendo meccanismi che incentivino una reale partecipazione alla vita economica, sociale e culturale italiana.

2. Rigorosità nelle verifiche senza ostacoli burocratici ingiustificati

Negli ultimi anni, il riconoscimento della cittadinanza per ius sanguinis ha subito un progressivo irrigidimento, spesso caratterizzato da interpretazioni restrittive da parte di alcune autorità consolari e comunali. Se da un lato è indispensabile garantire controlli accurati per evitare abusi, dall’altro è fondamentale che tali verifiche non si trasformino in ostacoli di natura puramente burocratica o in un’interpretazione arbitraria della normativa.

La giurisprudenza ha più volte ribadito che il riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis è un diritto soggettivo e non una concessione discrezionale. In tal senso, è auspicabile un intervento legislativo che chiarisca alcuni aspetti controversi, come l’interpretazione della continuità della cittadinanza in caso di naturalizzazione straniera di un ascendente. Inoltre, sarebbe opportuno uniformare le procedure presso i vari consolati, riducendo tempi di attesa e discrepanze interpretative tra una sede e l’altra.

Un altro nodo critico è la prassi di alcune amministrazioni comunali di richiedere documentazione eccessiva o non prevista dalla legge, con il rischio di allungare i tempi e di ostacolare illegittimamente il riconoscimento della cittadinanza. Un sistema informatizzato e una banca dati centralizzata potrebbero contribuire a rendere le verifiche più rapide ed efficienti, senza compromettere la sicurezza giuridica.

3. Il network dei discendenti italiani: una risorsa strategica per l’Italia

Oltre all’aspetto giuridico, la riforma della cittadinanza dovrebbe tener conto delle opportunità che il network dei discendenti italiani offre per il rafforzamento delle relazioni economiche, culturali e commerciali tra l’Italia e i paesi a forte emigrazione.

Molti italo-discendenti, pur non essendo cittadini italiani, mantengono un forte legame con la cultura e l’economia italiana. Incentivare l’ottenimento della cittadinanza per coloro che dimostrano un interesse concreto nel contribuire allo sviluppo dell’Italia potrebbe rappresentare una leva strategica per il rilancio economico e demografico del Paese. Ad esempio, si potrebbero prevedere programmi specifici per giovani professionisti di origine italiana che intendano trasferirsi in Italia, offrendo incentivi fiscali, semplificazioni burocratiche e percorsi di integrazione lavorativa.

L’esperienza di altri paesi, come Israele con la Legge del ritorno, dimostra come un legame etnico e culturale possa essere utilizzato per attrarre talenti e risorse economiche. L’Italia potrebbe sviluppare un modello simile, valorizzando i discendenti italiani non solo come cittadini, ma anche come attori chiave per il rafforzamento delle esportazioni, del turismo e degli investimenti esteri.

4. Immigrazione di ritorno: un’opportunità per colmare il deficit demografico

Uno degli aspetti più critici per l’Italia oggi è il calo demografico e la conseguente carenza di forza lavoro in settori chiave come la sanità, l’agricoltura, l’edilizia e il turismo. Il riconoscimento della cittadinanza ai discendenti di italiani potrebbe essere accompagnato da misure specifiche per facilitare il loro ritorno in Italia, contribuendo così a riequilibrare il saldo migratorio negativo.

L’introduzione di programmi di immigrazione di ritorno per italo-discendenti, sul modello di quelli già attuati in Spagna e Portogallo, potrebbe rappresentare una soluzione efficace. Tali programmi potrebbero includere incentivi per il rientro di professionisti qualificati, percorsi di integrazione lavorativa e agevolazioni per le imprese che assumono cittadini italiani rientrati dall’estero.

Conclusione La riforma della legge sulla cittadinanza non deve essere un mero esercizio burocratico, ma un’occasione per rafforzare il legame con le comunità italiane nel mondo e per affrontare alcune delle sfide più urgenti per il futuro del Paese. Un approccio equilibrato, che garantisca il rispetto dei diritti acquisiti ma al tempo stesso renda più efficienti e trasparenti le procedure di riconoscimento, può trasformare la cittadinanza italiana in un elemento strategico per il rilancio demografico ed economico dell’Italia.

Avv. Prof. Giuseppe Pinelli

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